Il rispetto di sé è uno stato d’animo che arriva da dentro
“I bambini cercano di vivere due vite contemporaneamente: la vita con la quale sono nati e quella del luogo e delle persone in mezzo a cui sono nati.”
(J. Hillman)
Uno stato d’animo accompagnato da una sensazione profonda di rispetto verso se stessi è diverso da un senso esagerato di importanza personale.
Gli individui che hanno un senso esagerato di importanza della loro persona fanno fatica ad imparare dal passato e di ammettere le loro “cadute” per la loro coscienza gonfiata ed egocentrica. Non hanno percezione che gli altri esistono e non sono consapevoli di nient’altro che della propria grandiosità. Sono addormentati. Sono ipnotizzati da se stessi e quindi non si può discutere con loro. Sicuramente vi verranno in mente molti “personaggi egocentrici”.
Molto spesso il senso esagerato di importanza personale o della convinzione di non avere mai torto è compensato dai sentimenti profondi di inferiorità. La persona non entra in contatto con questo sentimento di inferiorità e non diventa vulnerabile o insicura perche nel passato ha dovuto sopravvivere alle circostanze dove ha sentito umigliazione, comparazione o pressione di dover essere in un certo modo.
A quasi a tutti gli esseri umani in una situazione di stress, di cambiamento improvviso emerge lo stato d’animo di impotenza. Tuttavia, la paura di sentirsi inferiori o di essere umigliati non è percepita da tutti per una serie di difese adattative che l’individuo inconsciamente mette in atto.
I sentimenti di inferiorità non hanno una spiegazione logica, sono connessi alle emozioni di rabbia, alla tristezza, alla vergogna e sono molto difficili da affrontare senza un approccio specifico verso lo sguardo dentro se stessi. Senza tali abilità i meccanismi mentali e psicocorporei di difesa entrano nel sistema emotivo-comportamentale per proteggere l’individuo.
Quando la mente è al servizio dall’ambizione di sentirsi importanti o onipotente diventa difficile comprendere gli eventi contemporanei e trarre conclusioni sulla propria responsabilità, diventa difficile elaborare le conclusioni congruenti con le conseguenze dell’ immagine gonfiata: infatti possiamo subito riconoscere una persona che conosciamo: prepotente, autoritaria, insensibile. E fin qui tutto chiaro. Facile osservare gli altri. Tuttavia, possiamo esplorare che impatto ha su di noi l’energia e i comportamenti altrui.
Non sempre, ma spesso l’immagine gonfiata è presente anche in coloro che si sentono vittime, hanno l’autostima bassa e anche loro sentono la mancanza di rispetto verso se stessi. Ti stai chiedendo come mai una persona con l’autostima bassa potrebbe avere un’immagine di sè gonfiata? Ogni volta quando ne sentiamo la mancanza, ogni volta che abbiamo aspettative sull’altro non riusciamo a vedere nient’altro che noi stessi. Siamo concentrati su cosa fare o cosa non fare, su come l’altro reagisce alle nostre aspettative, su come ci vedono gli altri o cosa potranno pensare di noi, ecc. Come essere (piu’) utile o come salvare qualcuno, come prendere una decidisione senza sbagliare ecc. L’”immagine gonfiata” della nostra persona ci mette nella posizione o della vittima o della superiorità. Ci mette in centro dell’Universo.
Il rispetto di sé è diverso dall’immagine gonfiata di se stessi. Il rispetto è uno stato d’animo che emerge dall’interno. E’ uno stato corporeo interno che ci connette con la nostra profondità, con la nostra pienezza. E’ uno stato emozionale che muove energia nel nostro corpo e aiuta ad esprimere chi siamo nel mondo esterno. E’ uno stato che cambia la nostra postura e lo sguardo dentro e fuori di noi. Invece quando una persona vuole trasmettere la sua importanza, ha la postura rigida, gli occhi spenti e tesi (oppure molto attenti) e usa i sensi per controllare l’ambiente. E’ la stessa cosa possiamo osservare nell’individuo con l’autostima bassa. Quando ci capita a giudicare gli altri, soprattutto per la loro capacità di stare nel mondo, vuol dire che ci sta “sfuggendo” uno stato d’animo nostro che non riusciamo ad affrontare. A starci dentro… Ad accettarlo.
- Prova a riflettere quante volte hai delegato l’opinione di te agli altri?
- Quante volte hai lasciato la responsabilità agli altri per decidere che cosa è meglio per te?
- A chi affidi di solito l’opinione di te per la quale ti senti male?
- Quanto spesso non riesci a chiudere in tempo il tuo pc per il “dover finire tutto quello che devi finire”?
Possiamo elencare una lista delle cose che facciamo per non sentire la mancanza del senso profondo del nostro valore che riempiamo con i pensieri, ruminazioni o le cose da fare (inutili o urgenti).
Se il rispetto è uno stato d’animo, è una sensazione corporea, come mai nonostante il successo molte persone non si rispettono? Come mai le persone sono costanamente alla ricerca di essere aprezzati, riconosciuti o considerati?
Possiamo rispondere in diversi modi a questa domanda e per ogni esserre umano la risposta sarà diversa e, probabilmente, non è quella che li potrà’ aiutare di sentirsi meglio nella loro “pelle”. Le domande servono per ascoltarci, ma spesso perdiamo anni per cercare le risposte fuori da noi.
Quanto piu mi “spiego” la vita attraverso i libri che leggo, “insight” che ricevo durante i percorsi psicologici e le informazioni che leggo sui social, tanto più mi allontano dalla mia essenza e la mia biografia. Nel momento quando ci allontaniamo da noi stessi, la nostra storia non è piu’ la NOSTRA, ma la storia di una vittima oppure la storia idealizzata, dove tutto è perfetto.
L’identità di vittima dell’individuo contemporaneo occdentale è il rovescio della medaglia sul quale “viaggia” l’identità opposta: l’immagine eroica dell’uomo di successo, che spesso dice: “mi sono fatto da solo». Un uomo affaticato, stanco, che si è ritagliato il destino da solo con la volontà di una macchina potente. L’”eroe” è l’altra faccia della vittima.
Noi cerchiamo teorie, pratiche e metodi per trovare lo stato d’animo dove ci sentiamo autonomi, indipendenti dallo sguardo e dal merito altrui. Siamo spesso vittime delle teorie che apprendiamo ancora prima che vengano messe in pratica. Perchè per metterli in pratica dobbiamo avere dentro di noi una percezione di valore tale da impegnarsi per la nostra vita, per la libertà della nostra anima. In questo modo, dove la mente vuole un cambiamento, ma le resisteze psicocorporei impediscono di agire, rimaniamo vittime o prendiamo il potere sugli altri con la nostra superiorita.
Per smascherare la mentalità della vittima è necessario vedere in trasparenza cosa mi racconto e faccio per non sentire; come la mia mente è separata dal cuore e in che modo la mia reattività cognitiva mi impedisce di riflettere e di regolare il movimento emotivo che mi sale verso la testa, che mi preme il petto e che mi addolora o irrigidisce l’addome.
Lo scopo è ritrovare la sensazione che abbiamo perso nella tenera età: la sensazione di aver diritto di avere il posto nel mondo. Siamo arrivati nel mondo con energia tale da poter “pretendere” il nutrimento, il calore umano e la cura.
E’ la nostra responsabilità ritrovare la sensazione psico-corporea di bontà interiore.
E’ nostra responsabilità liberare la percezione dell’esistenza al mondo della propria individualità. E’ la nostra responsabilità far emergere l’unicità propria, che è unica e irripetibile.
E’ la nostra responsabilità accettare di essere diverso dagli altri e uscire dal mondo della comparazione per scoprire ed esprimere la propria autenticita’ e creativita’.
E’ la nostra responsabilità ritrovare la fiducia che il Mondo, con il suo “modo imperfetto”, vuole che IO ESISTO.
E’ la nostra responsabilità tornare all’immagine innata, all’essenza della ghianda che eravamo prima di diventare una quercia, all’energia che c’era prima di essere deviata o interrotta.
Basta guardare quello che fanno gli altri, basta provare l’empatia per coloro che non ce la fanno, basta giudicare se stessi.
Ora fermati.
Respira e ascolta le tue sensazioni interne, connetiti con la tua unicità, con i confini del tuo corpo, con il tuo sentire, con il calore che senti.
Rivolgi la tua attenzione dentro di te e scendi dai pensieri verso il centro del tuo corpo.
Ascolta la tua unicità.
Il primo passo per iniziare a contattare la tua unicità è accettare che spesso ti senti una vittima o ti aprocci da vittima; che hai dovuto essere onnipotente senza considerare gli altri oppure oscilli da uno stato all’altro. Dietro tutto questo c’è un’essere umano che ha bisogno di essere visto, rispettato per quello che è. Ma soprattutto di sentirvi VIVO con il diritto di sentire. E’ quello che succede, a un certo punto, con un terapeuta capace di riconoscere e sostenere la tua unicità.
La “teoria della ghianda” della quale parla Hilton, cioè l’idea che ciascuno di noi sia portatore di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta e va rispettava.
Ciascuno di noi ha un valore ed è l’unico responsabile per riprendere contatto con esso attraverso il corpo e la mente.